Arte Romana

Arte Romana

Il lungo periodo dell’antichità si conclude con la civiltà romana, in un fortunato momento storico che vede riuniti sotto un solo impero popoli del vicino oriente e dell’occidente. Le origini di Roma risalgono all’VIII secolo a.C. quando la città cominciò a svilupparsi e ad acquistare importanza fra gli altri centri del Lazio. I primi secoli della storia di Roma coincidono con l’età della monarchia, durante la quale la città subì fortemente l’influenza delle potenti e vicine città etrusche, Veio in particolare. La storia di Roma può dividersi in due lunghi periodi:

la Repubblica (VI – I secolo a.C.): Roma si afferma sul Lazio, sugli Etruschi, sugli altri popoli italici, sulla Magna Grecia; alla fine del I secolo a.C. è padrona delle terre che si affacciano sul Mediterraneo, dalla Siria alla Spagna, dalle Gallie alla Libia;

l’Impero (da Augusto a Costantino): Roma organizza sotto di sé popoli molto diversi, a cui offre una stessa lingua (il latino), un identico sistema di leggi, un notevole sistema amministrativo. Le differenze fra l’Oriente e l’Occidente dell’impero si fanno sempre più forti e culminano con la costruzione di Bisanzio-Costantinopoli, Nuova Roma e seconda capitale dell’impero.

Arte: conoscenza di base

Sotto l’aspetto artistico possiamo considerare i seguenti periodi:

primo periodo (753 a.C. – 146 a.C.): dalle origini sino alla conquista della Grecia. L’arte dell’epoca dei re e dei primi tempi della repubblica si identifica con quella etrusca; in seguito acquisisce elementi greci con lo svilupparsi di relazioni con la civiltà ellenica e con la conquista della Magna Grecia.

secondo periodo (146 a.C. – 217 a.C.): dall’occupazione della Grecia a Caracalla. Dopo un inizio d’influssi greci e di imitazione, l’arte romana matura per raggiungere, prima sotto Augusto, poi sotto Traiano e Adriano, l’epoca più gloriosa.

terzo periodo (217 d.C. – 476 d.C.): da Caracalla alle invasioni barbariche. Segna il declino dell’arte romana, anche se l’architettura si mantiene ancora viva. Su questo mondo romano che tramonta sorge una nuova era, quella cristiana.

L’arte romana vera e propria, con caratteri originali che rielaborano influssi etruschi, italici e greci, si definisce a partire dal II secolo a.C. Di essa sono giunte sino a noi vastissime testimonianze, relative all’architettura (dove i romani dimostrano grandissima abilità nelle tecniche costruttive), alla scultura (ritratti, rilievi che completano le architetture), alla pittura (affreschi, mosaici). Le più imponenti e complesse architetture si realizzano in età imperiale, fra il I e il IV secolo d.C. L’arte romana fu sempre legata a situazioni contingenti e in gran parte opera di maestranze che producevano quasi in serie e con tempi stretti, per committenti mossi da interessi episodici o sedotti da mode. Nonostante ciò, nel tardo periodo repubblicano anche il mondo romano riuscì a elaborare un linguaggio figurativo autonomo, in strettissimo legame con i fatti storici e con l’evoluzione di Roma, che di questa storia fu per oltre otto secoli il motore. A Roma tutte le correnti culturali del mondo mediterraneo s’incontrarono, si scambiarono elementi e fatalmente assorbirono alcuni caratteri specifici della romanità. Nel III e nel II secolo a.C. l’impatto con le opere originali delle scuole ellenistiche di Grecia e d’oriente, prevalentemente statue, importate a Roma come prede di guerra dai generali vittoriosi, ebbe un duplice effetto: da un lato generò una produzione di imitazioni, dall’altro fornì nuovi modelli e nuovi stimoli agli artisti. Soltanto nell’ultimo secolo della repubblica emergeranno forme tipicamente romane, con il ritratto e il rilievo storico.

Architettura

I Romani sono uomini politici e uomini d’armi; la loro mentalità è proiettata verso la conquista di enormi territori. Le eccezionali reti viarie che tracciano, i ponti, gli acquedotti, le numerose città che impiantano, ci dimostrano quanto fossero consapevoli di voler lasciare una profonda traccia di sé nella storia. Questa consapevolezza spiega il grandissimo sviluppo dell’architettura nella civiltà romana: niente più delle opere di pubblica utilità e degli interventi a larga scala sul territorio, serve ad infondere nei cittadini il senso della potenza dello Stato. L’architettura è l’espressione dell’arte più utile al governo ed in questo campo la civiltà romana elabora forme e tecniche del tutto originali. Il tufo ed il travertino, pietre porose e ricche di cavità interne, sono, insieme all’argilla, i materiali di cui dispongono i romani per le loro architetture: tali materiali suggeriscono l’impiego di piccoli blocchi, legati da malta cementizia. I costruttori romani ottengono, dall’impasto di calce, sabbia e pozzolana (sabbia vulcanica di Pozzuoli, di cui vasti giacimenti sono anche nel Lazio), una malta resistentissima che consente una presa eccezionale. Essi rielaborano così vari tipi di muratura, dal più semplice, opus caementicium, in cui un impasto di malta e frammenti di pietra viene gettato in cassoni di legno, perché ne assuma la forma; ai più complessi, in cui l’impasto viene contenuto fra due pareti di blocchetti sagomati: opus incertum, a forma di cono, o opus reticulatum, a forma di piramide. Nel periodo imperiale i mattoni di argilla seccata all’aria vengono sostituiti da quelli cotti nelle fornaci: ne derivano strutture murarie ben più solide (opus latericium). Questi tipi di muratura favoriscono la costruzione di superfici curve (contrariamente all’architettura greca, impostata su linee rette) ed il sistema costruttivo che caratterizza l’architettura romana diviene l’arco. Mentre nel sistema trilitico l’architrave rischia di spezzarsi se il peso sovrastante è eccessivo, oppure se i sostegni verticali sono troppo distanti, l’arco, con il suo andamento curvo, permette di scaricare meglio il peso della costruzione sui sostegni verticali, distanziandoli anche maggiormente. Gli ambienti risultano così più spaziosi e le colonne o pilastri che sorreggono la copertura diminuiscono di numero.

Dall’arco si originano le coperture a volta:

– più archi successivi determinano la volta a botte;

– due volte a botte incrociate ortogonalmente determinano la crociera, compresa fra sei archi, quattro laterali e due trasversali.

Le superfici curve determinano anche la volta a vela e la cupola, che i romani impostano essenzialmente su una base circolare, come nel Pantheon. Archi e volte vengono costruiti con l’aiuto di centine, sostegni lignei sagomati ad arco su cui si dispongono i mattoni e si gettano gli impasti di malta: quando la muratura è secca la centina viene rimossa. L’architettura romana, quindi, riflette inizialmente gli influssi della civiltà etrusca, come risulta anche dallo schema costruttivo del tempio. La cella tuttavia assume maggiori dimensioni, mentre le colonne, oltre che all’ordine tuscanico elaborato dagli Etruschi, si rifanno anche agli ordini greci ionico e corinzio. Il colonnato che circonda esternamente la cella è generalmente ridotto ad una serie di semicolonne addossate alle pareti laterali, mentre sulla facciata principale, secondo lo schema del tempio etrusco, un profondo portico si eleva su di un alto podio a gradini. In età imperiale il tempio, spesso anche a pianta centrale (circolare o poligonale) e ingigantito nelle dimensioni, si arricchisce di nicchie ed absidi, spazi semicircolari ricavati nelle pareti e destinati ad accogliere statue o realizzati per rendere più articolata la pianta di un edificio. La copertura non è più costituita solo da un tetto a due falde, ma anche da volte a botte o a cupola. Nel II secolo a.C. lo schema urbanistico ortogonale era l’impianto più diffuso nelle città ellenistiche, conquistate e rifondate dai Romani come proprie colonie. In quell’epoca Roma era già una città di rispettabili dimensioni. Essendo nata però come federazione di villaggi arroccati su rilievi divisi da un fiume e inframmezzati da terreni paludosi, era cresciuta adattandosi come meglio poteva all’ambiente sfavorevole e aveva assunto un aspetto simile a quello delle città etrusche dell’Italia centrale. L’abitato, addensato sulle pendici dei colli, era attraversato da vie strette e tortuose; gli spazi erano ristretti, gli spostamenti difficili. L’unico punto di riferimento comune, il foro, l’antico mercato del bestiame trasformato in centro della vita religiosa e civile, era confinato in un’angusta valletta ai piedi del Palatino. Roma dunque non rappresentava un modello di città a cui ispirarsi per la fondazione di colonie. Così lo schema razionale ellenistico, che si adattava perfettamente all’impianto tradizionale rettangolare dell’accampamento militare, il castrum, fu prontamente adottato e riprodotto in forme standardizzate prima in Italia, poi nelle più remote province dell’impero, con poche modifiche dettate da motivi pratici, le mura difensive, e religiosi, la delimitazione dei confini sacri, l’orientamento in armonia con l’ordine cosmico. Il castrum quindi da insediamento mobile divenne stanziamento fisso. Gli assi principali lungo i quali si distribuivano le tende dei soldati (cardo e decumano) si trasformarono negli assi viari più importanti della città. All’incrocio fra cardo e decumano si costruiva generalmente il Foro. Le nuove città sorgevano preferibilmente in zone pianeggianti, all’incrocio delle grandi vie di comunicazione, che permettevano rapidi spostamenti militari e fecondi scambi commerciali. Nel Foro di Roma, oltre ai templi ed alla Curia (dove si riuniscono i senatori), il tipo di edificio di maggior rilievo è la basilica, luogo di riunione dove si amministra anche la giustizia. La basilica romana deriva dai semplici porticati che, nel mondo greco, costituivano un punto di ritrovo all’interno dell’agorà, la piazza cittadina. Essa è costituita da un’aula rettangolare, la cui copertura è sostenuta da una o più file di colonne. Le basiliche più antiche sono caratterizzate da numerose aperture disposte lungo i lati; nei periodi più tardi lo spazio interno è invece delimitato più nettamente e la basilica diviene un edificio monumentale. Le vie del Foro, attraversate dai cortei vincitori al ritorno dalle campagne di conquista, sono abbellite da archi di trionfo, sulle cui superfici, come su quelle delle colonne commemorative, i bassorilievi rappresentano episodi storici che celebrano la potenza romana e tramandano le gesta dei grandi condottieri e imperatori.

Le case d’abitazione romane in epoca repubblica possono essere distinte in due tipi fondamentali: da un lato le dimore dei cittadini benestanti, le case unifamiliari ad atrio di derivazione italico-ellenistica, le domus; dall’altro i grandi condomini “popolari” a più piani divisi in appartamenti, le insulae. Di quest’ultime restano esempi soprattutto a Ostia. Costruite o sommariamente riattate da speculatori senza scrupoli con il pretesto di dare asilo alle masse, avevano strutture in conglomerato cementizio rivestito di laterizio, tetti generalmente inclinati coperti con tegole, balconi e ballatoi retti da mensole di legno o pietra. Gli appartamenti, in cui spesso coabitavano più nuclei familiari, erano distribuiti su quattro o cinque piani. Le stanza erano piccole, buie, fredde (l’uso di bracieri per cucinare e scaldarsi era causa di frequenti e disastrosi incendi), senza acqua corrente né scarichi fognari. Naturalmente differente l’esistenza che si conduceva nelle abitazioni patrizie, spaziose, areate, igieniche, fornite di bagni e gabinetti e riscaldate d’inverno dagli ipocausti, complessi dispositivi che facevano passare correnti d’aria calda sotto i pavimenti. Gli esempi più antichi rinvenuti a Pompei dimostrano che già nel IV-III secolo a.C. la casa “ad atrio” era già definita nei suoi elementi essenziali: una porta (ostium) preceduta da un ingresso (vestibulum) e seguita da uno stretto corridoio di accesso (fauces), affiancato da stanze di servizio; un’ampia sala centrale (atrium) coperta dalle quattro falde del tetto spiovente verso l’interno (compluvium) per poter convogliare l’acqua piovana in una vasca al centro dell’atrio (impluvium) da dove si raccoglie in una cisterna sotterranea. Intorno all’atrio si dispongono alcune camere dal letto (cubicula) e due ambienti di disimpegno aperti (alae) alle sue estremità, mentre in fondo all’atrio si trova una sala di soggiorno (tablinum) affiancata da un corridoio di passaggio all’orto-giardino (hortus) alle spalle della casa. Nel corso del II secolo a.C. l’originario hortus si trasformò in un leggiadro giardino (peristilium) con fontane e statue, che era circondato da quattro ali di portico a colonne sul quale, si affacciavano le principali stanze di soggiorno. Gli interni si arricchirono di marmi policromi, affreschi, statue, mosaici. Fu nell’ambiente privato, infatti, che i Romani poterono dare libero sfogo al nuovo gusto per l’arte, alimentato dai bottini di guerra ma ancora condannato dalla pubblica morale.

Un altro complesso architettonico di grande importanza è costituito dalle terme. I primi edifici termali sorgono in età repubblicana; a Pompei ne abbiamo un esempio. Le terme del periodo imperiale, frequentate soprattutto dai patrizi, divengono costruzioni grandiose. Un vasto edificio centrale contiene le aule termali con piscine di acqua fredda, tiepida e calda, le palestra per la lotta ed i giardini; esso appare isolato in un grande recinto lungo il quale sono disposte biblioteche e servizi e che accoglie anche una gradinata per il pubblico che assiste agli spettacoli ginnici. Le terme romane di Traiano, Cavalla e Diocleziano sono impostate su questo schema.

Nella vita cittadina dei romani acquistano grande importanza anche le manifestazioni culturali ed i giochi gladiatori. Il teatro romano si sviluppò nell’ultimo secolo della repubblica. Le strutture precedentemente adibite a questa funzione (ritenuta disdicevole) erano in legno e provvisorie per legge. Il teatro romano, riprende lo schema del teatro greco, ma lo modifica sia nella costruzione della scena, che nella cavea. Quest’ultima non si adatta più necessariamente al pendio naturale di un colle, ma sorge in una zona pianeggiante del territorio o anche in piena città, ovunque si richieda la costruzione del teatro. Le poderose strutture ad arco che sostengono le gradinate diventano così parte essenziale dell’edificio e lo caratterizzano esternamente. Il fondale alle spalle degli attori, che chiude l’orchestra, non è più un semplice muro, bensì un’altra parete ornata da due o tre ordini di colonne sovrapposte, che in età imperiale si incava con absidi. In essa si aprono tre porte, che conducono agli ambienti riservati agli attori.

L’anfiteatro, elaborazione ulteriore del teatro, è un edificio tipicamente romano ed il suo nome significa proprio doppio teatro. Ha una forma ellittica, con l’arena posta generalmente più in basso rispetto al piano stradale per limitare lo sviluppo in altezza dell’edificio e consentire, al tempo stesso, di ricavare tutta l’ampiezza necessaria alla grande cavea, divisa in settori destinati a differenti tipi di pubblico. In basso, in prossimità dell’arena, siedono l’imperatore ed i personaggi di maggior rilievo; via via, risalendo, si arriva alla zona riservata alla plebe, che assiste in piedi agli spettacoli. L’arena scavata nel terreno può essere inoltre allagata e consentire lo svolgersi di battaglie navali. L’anfiteatro Flavio, detto popolarmente Colosseo, eretto in epoca imperiale, costituisce l’esempio più grandioso di questo tipo di costruzione.

Fuori delle città, con una distribuzione di ambienti che non ricalca quella delle abitazioni urbane, sorgono in epoca imperiale grandiose ville, dimore di campagna dei ricchi proprietari e degli imperatori. Sia che assumano una forma aperta e articolate nel territorio, come la villa Adriana a Tivoli, oppure chiusa e di carattere militare, come nel palazzo di Diocleziano a Spalato, le ville imperiali, con la loro varietà di ambienti, costituiscono edifici di insuperabile monumentalità, che riassumono tutte le più raffinate tecniche costruttive del mondo romano.

I Romani, dunque, privilegiano l’architettura fra le arti e l’attività del progettista è considerata più nobile di quella dello scultore o del pittore, perché meno «manuale». Tutte le arti, comunque, concorrono a tramandare la grandezza di Roma: pittura e scultura sono considerati efficaci strumenti di informazione e propaganda, perché raccontano gli eventi e li commentano con un linguaggio comprensibile a tutti.

Scultura

Il patrimonio scultoreo romano rimastoci, a differenza di quello pittorico, è cospicuo. La matrice prevalente è quelle ellenistica, ma si avvertono anche influenze etrusche. Questi caratteri rimasero vivi anche dopo il II secolo a.C., quando Roma fu letteralmente presa dalla mania per l’arte greca: i Romani gareggiarono nell’adornare case e giardini con le statue importate dalla Grecia e dall’oriente, e poiché gli originali non bastavano a soddisfare le richieste, si cominciò a produrre copie. Intere scuole (per esempio, quella ateniese detta neoattica) trasferirono la loro attività a Roma, al servizio dei committenti, lungi dall’apprezzare il valore estetico e formale dell’arte greca, si preoccupavano soprattutto che il contenuto delle loro opere fosse coerente con la loro ambientazione architettonica. Questa propensione all’eclettismo produsse anche opere interessanti, come quelle della scuola di Pasiteles, per esempio, scultore greco attivo a Roma intorno alla metà del I secolo a.C., di cui si racconta che fosse erudito d’arte, provetto modellatore d’argilla e insigne del minuzioso naturalismo ellenistico. La scultura romana troverà accenti originali solo alla vigilia dell’impero, quando dalla fusione del verismo ellenistico e del crudo realismo medio-italico si svilupperà uno stile con forti legami terreni, oggettivi, vicino alla mentalità civile e religiosa di Roma. Questo stile si manifesterà soprattutto nel rilievo storico e nel ritratto. Presso i Romani, fin dal periodo repubblicano, è diffusa l’usanza di onorare i cittadini importanti con ritratti, che fissano realisticamente le caratteristiche del loro volto per tramandarne ai posteri la memoria e la fisionomia. Il ritratto onorario si diffonde rapidamente fra le famiglie dei patrizi e non riproduce quindi solo le sembianze di personaggi storici, ma anche di capi di famiglia o parenti illustri. Molto in uso è anche la ritrattistica funeraria già assai diffusa presso gli Etruschi, ed entrata a far parte della tradizione romana; la figura del defunto, generalmente a mezzo busto, avvolta nella toga ed in posizione frontale, appare spesso accompagnata da uno o più parenti. Probabilmente eseguiti quando il personaggio è ancora in vita, questi ritratti funerari riflettono un forte senso della famiglia, tipico dell’espressione popolare romana. Dal I secolo a.C. vengono realizzate, naturalmente, anche moltissime statue dell’imperatore. Con l’espandersi dell’impero ed il rafforzarsi della potenza romana, il ritratto dell’imperatore, venerato come un dio, perderà via via le sue caratteristiche umane, fino ad acquistare, sotto Costantino, dimensioni ingigantite, frontalità e totale mancanza di espressione. L’autorità imperiale, divina, si innalza sopra i sudditi ed è raffigurata in immagini monumentali in cui il realismo della rappresentazione è ormai completamente perduto. Nei bassorilievi e altorilievi, in tutti i periodi della civiltà romana, prevalgono i soggetti storici. L’Ara Pacis (altare consacrato alla pace nel I secolo a.C.), le grandiose colonne onorarie di Traiano, Antonino e Marco Aurelio (che raffigurano le vittorie romane sui barbari), le decorazioni degli archi di trionfo, ne sono un esempio. In questi monumenti onorari i romani sviluppano delle narrazioni assai complesse: le scene non sono divise in riquadri, ma si snodano lungo fasce ininterrotte di figure, elementi di paesaggio e architetture, in un originalissimo esempio di messaggio in sequenze. I soggetti storici vengono rappresentati anche sulle pareti dei sarcofagi, insieme ad episodi della mitologia che si riallacciano al tema della morte. Sempre nei sarcofagi sono anche frequenti le scene che si riferiscono alla vita quotidiana ed all’attività lavorativa del defunto.

Pittura

Le testimonianze della pittura romana si trovano soprattutto nelle abitazioni di Ercolano e Pompei. I soggetti, rappresentati ad affresco, sono generalmente tratti dalla mitologia che ispira immagini decorative e scene di grande vitalità; le figure sono ricche di movimento e rilievo ed i paesaggi e le architetture creano effetti illusori di profondità. In un primo periodo le pareti sono spartite in zoccoli, riquadri, cornici, pilastri differenziati dal colore che imita un rivestimento marmoreo senza raffigurazioni di scene (stile a incrostazione). Verso la metà del I secolo a.C. si afferma invece la rappresentazione di finte architetture, che ampliano illusoriamente lo spazio degli ambienti (stile architettonico). Successivamente si torna alla parete divisa in cornici dipinte; al posto delle finte lastre di marmo vengono però rappresentate figure dipinte con rapide pennellate, su fondi di un solo colore; quadri di genere, di soggetto mitologico o paesistico (stile ornamentale). Nell’ultimo periodo dell’impero, infine, si torna alla rappresentazione di elementi architettonici in prospettiva, ma in modo molto più decorativo e sovraccarico di particolari (stile illusionistico). Oltre all’affresco anche il mosaico viene utilizzato per la decorazione degli ambienti, sia delle pareti che, più spesso, dei pavimenti. I soggetti sono ancora di carattere mitologico; non mancano però quelli di tipo storico o di tipo naturalistico, ispirati alla fauna ed alla flora. Il mosaico viene realizzato con tecniche diverse, chiamate:

– opus tessellatum: che utilizza tessere bianche e nere per disegni geometrici, incorniciature;

– opus vermiculatum: che utilizza piccolissime tessere disposte in linee secondo l’andamento delle forme delle immagini raffigurate;

– opus sectile: che utilizza strette lamelle di marmo colorato, ritagliate secondo i particolari delle forme delle figure e sistemate a intarsio.

Anche se non sono giunti fino a noi esempi di pittura su tavola, sappiamo dalle testimonianze scritte che i romani la utilizzavano largamente. Durante i cortei trionfali i cartelloni dipinti raccontavano le gesta dei soldati, nei processi illustravano i reati commessi dall’imputato e nelle vie cittadine caratterizzavano le insegne dei negozi.

© 2018 Lorena Laurenti. All rights reserved. È possibile fare una citazione dell’articolo includendo il link originale alla pagina e dandone comunicazione all’indirizzo info@disegnamo.it

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