Settecento e Ottocento

Settecento e Ottocento

Arte: conoscenza di base

Nella seconda metà del Settecento la borghesia si afferma con prepotenza, chiede riforme sociali, si ribella all’aristocrazia inetta e largamente privilegiata, provoca la rivoluzione. L’Illuminismo che vede nella ragione l’elemento di uguaglianza fra gli uomini, determina una profonda modificazione nel modo di concepire l’arte ed il significato dell’immagine. Nei confronti della scienza, che ormai ha avviato, con il metodo sperimentale, un processo rivoluzionario di indagine della natura, l’arte si trova a dover qualificare il proprio campo, differenziandosi nettamente dalla scienza stessa o rendendo «scientifiche» le proprie ricerche. Ad un’arte che evita di affrontare i grandi problemi umani e sociali, per esprimersi attraverso «generi» tradizionali (ritratto, natura morta, paesaggio, arte decorativa), si contrappone, con il Neoclassicismo, un’arte che valuta criticamente il tardo Barocco e il Rococò, li rifiuta perché espressioni della corte assolutista e formula teorie sull’arte come scienza del bello. La bellezza per il Neoclassicismo, nasce quando le immagini sono portatrici di idee «giuste» e sono prodotte per scopi morali. Il concetto dell’arte come strumento di persuasione viene trasferito in immagini che esaltano la nobiltà d’animo dei capi rivoluzionari e il loro sacrificio per il popolo. Il Neoclassicismo, nato come espressione degli ideali patriottici ed eroici della rivoluzione francese, diviene poi l’arte ufficiale dell’impero napoleonico. Le architetture recuperano il classicismo in quanto espressione di rigore morale, purezza di forme, rifiuto di ogni decoratività superflua. Il popolo va educato ai valori rivoluzionari validi e assoluti nel tempo, attraverso immagini «belle» in assoluto, perfette nelle forme e prive di coinvolgimenti emotivi. Questa volta, rispetto al Barocco, si chiede all’osservatore di essere attento e lucido razionalmente, di accogliere, con profonda e logica convinzione, le idee di cui l’immagine è portatrice. Molti artisti sono anche e soprattutto dei teorici: si elaborano in questo periodo numerosi trattati, che definiscono i criteri guida della composizione, le proporzioni «migliori» fra le parti, le categorie secondo cui classificare i vari tipi di espressione artistica. L’Italia aderisce al movimento neoclassico (che si diffonde largamente in Europa) pur conservando una posizione più arretrata, a causa delle radicate tradizioni artistiche locali.

Dopo la caduta di Napoleone, in Europa si afferma il Romanticismo, che, nato in Germania, determina l’evoluzione verso nuove forme espressive. In contrapposizione al Neoclassicismo, che si riferiva al mondo classico e ricercava valori assoluti, validi per ogni popolo, il Romanticismo si rivolge alla storia delle singole nazioni, alle origini delle diverse culture. Vengono rivalutate le espressioni artistiche dei popoli germanici, anglosassoni, francesi del Medioevo, che non è più considerato un periodo di decadimento dell’arte, bensì di affermazione di civiltà diverse da quella classica, ma non meno valide; questa ricerca di individualità nazionale diventa anche rivalutazione del singolo e dei suoi sentimenti. Sempre in misura minore, rispetto ad altre nazioni europee, l’Italia partecipa al Romanticismo e sviluppa una sua parallela ricerca espressiva spesso assai affine a quella francese (la Francia ha il ruolo di guida nella cultura d’Europa), ma isolata in un ambito nazionale: questa situazione si manterrà finché non avrà raggiunto la fisionomia e la dignità di stato autonomo. In questa ricerca di nuovi valori espressivi, al di fuori dei modi tradizionali ed accademici, si pone il Verismo, che, pur nelle sue caratteristiche regionali, persegue obiettivi comuni: l’immagine viene rivalutata indipendentemente dai valori morali o ideologici che trasmette, la scientificità dell’arte è scienza della percezione visiva, della luce che determina ombre e colori, delle strutture compositive che la regolano.

Verso la fine del secolo, dopo la nascita del Regno d’Italia, si avvia uno scambio con le nazioni europee e molti artisti si recano in Francia, dove l’Impressionismo, rifiutando le accademie, ha aperto la via ad una rivoluzionaria concezione dell’arte, presupposto fondamentale dei grandi avvenimenti artistici del Novecento.

Architettura

Nella seconda metà del Settecento l’architettura si sviluppa particolarmente a Roma, Napoli e Milano, dove si realizzano sistemazioni di vaste aree, quartieri e piazze. Gli elementi architettonici sono sempre ispirati ai modelli classici; spesso però, a scapito dell’armonia dell’insieme, prevale il gusto per la monumentalità, con l’ingigantimento dei basamenti, delle colonne, della massicce trabeazioni. Ci si riferisce non tanto al mondo classico, quanto al periodo dell’Impero; per celebrare personaggi di grande importanza, come re o imperatori, sempre seguendo l’esempio dato dalla civiltà romana, si costruiscono di nuovo gli archi di trionfo. Su questi presupposti si sviluppa l’architettura del Neoclassicismo, che si diffonde in tutta Europa.

Le chiese costruite in questo periodo sono in genere a pianta centrale, quasi sempre rotonda; hanno un portico d’ingresso arricchito da colonne e completato dal timpano. Le colonne ripetono uno degli ordini greci – dorico, ionico, corinzio – e sono appoggiate su di un alto zoccolo.

Verso la fine del Settecento, un provvedimento di legge emanato durante il governo di Napoleone Bonaparte vieta, nel rispetto di precise norme igieniche, la sepoltura all’interno delle chiese. Secondo i nuovi regolamenti vengono costruiti allora, fuori delle mura delle città, i cimiteri, in cui spesso le tombe sono veri e propri monumenti funebri, adornati da sculture eseguite da artisti illustri.

I palazzi privati, anche quelli destinati alle famiglie reali, hanno facciate molto allungate e racchiudono il cortile all’interno. L’ingresso, in genere, è evidenziato dalla presenza di colonne che sostengono un balcone; uno scalone monumentale conduce al piano nobile, dove le numerose stanze allineate l’una dopo l’altra danno il senso di una grande profondità. L’architetto, in questo periodo, comincia ad interessarsi anche dell’arredamento interno, della sistemazione di caminetti, specchiere, oggetti decorativi; a studiare i disegni per le porte interne ed esterne, per le imposte e anche per particolari fino ad ora ritenuti insignificanti (maniglie, ferri ferma-tende, ecc.).

Anche le ville, costruite fuori città dalle famiglie della ricca borghesia imprenditoriale o dai nobili, ricalcano in genere il modello del palazzo di città, ma sono circondate da giardini di stile inglese, con prati, boschetti e finti ruderi per creare angoli suggestivi.

In Italia, gli architetti di maggiore rilievo del periodo neoclassico sono Luigi Vanvitelli e Giuseppe Piermarini. Luigi Vanvitelli (1700-1773), di origine olandese, educato dal padre alla pittura, apprende proprio nel dipingere ad amare le antiche e monumentali architetture classiche, solitamente ritratte nelle vaste vedute di paesaggio. Il gusto per la grandiosità delle proporzioni e l’amore per le forme classiche rimane vivo e presente in ogni sua opera: fra tutte va ricordata la Reggia di Caserta, iniziata per Carlo di Borbone nel 1571, con un imponente scalone interno e un meraviglioso parco, ricco di fontane, cascate e giochi d’acqua, ideato e realizzato sempre da Vanvitelli. Allievo di Vanvitelli a Roma e poi suo collaboratore a Caserta è (1734-1808), nato a Foligno, ma attivo soprattutto in Lombardia, dove a Milano viene nominato «imperial regio architetto» dalla Corte Arciducale. Rigoroso e originale interprete del neoclassicismo, Piermarini caratterizza le sue architetture con superfici che si sviluppano in lunghezza, sulle quali la luce scorre senza violenti contrasti d’ombra: le colonne, i pilastri, le cornici, che scandiscono ritmicamente le facciate, non assumono mai pesante rilievo. L’equilibrio di ogni sua opera, organizzata secondo ritmi ampi e nitidi, attenua la freddezza tipica dell’architettura neoclassica, nata quasi sempre da una rigida imitazione. La sua opera più nota è il Teatro alla Scala di Milano, costruito nel 1778. La facciata è ornata da colonne appoggiate su di una base a bugnato; l’inserimento del portico, praticabile per le carrozze, costituisce un elemento del tutto originale. L’acustica interna ancora oggi risulta perfetta, per il giusto rapporto realizzato fra masse e spazi vuoti. Piermarini a Milano realizza anche sistemazioni urbanistiche, compresa quella dei vasti giardini pubblici della città; il suo interesse per l’urbanistica si evidenzia anche nella realizzazione della Villa Reale di Monza, impostata su di uno schema aperto che si articola nel parco circostante. Piermarini, comunque, manifesta una nuova tendenza che si sviluppa ancor più nel secolo successivo: l’architetto diventa anche urbanista e si occupa della sistemazione degli spazi urbani indipendentemente dal fatto di progettarvi singole costruzioni.

L’architettura, per tutto l’Ottocento, ripete in genere modelli neoclassici o ripropone caratteri dell’architettura romanica o gotica, in adesione al Romanticismo, che rivaluta il Medioevo. Il grande sviluppo industriale, nella seconda metà del secolo, propone con urgenza il problema dell’espansione delle città. Attorno al nucleo originario si costruiscono i nuovi quartieri operai, e si delinea la struttura della città moderna; per soddisfare le nuove esigenze vengono costruiti molti edifici pubblici e privati, ad esempio ospedali, scuole, stazioni, mercati, palazzi di esposizione. Verso la fine del secolo vengono realizzati i primi villini, destinati all’abitazione di una sola famiglia, che usufruiscono di piccoli giardini privati e sono costruiti in zone spaziose della città. Da questi primi gruppi di abitazioni si sviluppano i quartieri residenziali moderni. In queste nuove realizzazioni si usano spesso il ferro e la ghisa, materiali fino ad ora poco o affatto usati in architettura.

Scultura

Nella seconda metà del Settecento anche la scultura assimila i nuovi contenuti neoclassici. Il sorgere di numerose Accademie, di cui la maggiore è quella di Brera a Milano, ancora oggi vitale, determina un notevole impulso nello studio del nudo; quasi sempre però gli allievi si esercitano su copie di opere antiche anziché dal vero e la loro preparazione risulta basata soprattutto sull’imitazione. Alle forme mosse, ricche di decorazione, impostate sui forti contrasti, si sostituiscono opere estremamente semplici, rigorose, spoglie da ogni decorazione, sempre composte in una fredda immobilità. Lo scultore che meglio rappresenta le tendenze culturali del Neoclassicismo è Antonio Canova (1757-1822), che proprio dallo studio, condotto a Roma, sui capolavori classici definisce il suo linguaggio personale, basato essenzialmente sulla assoluta perfezione delle forme: le sue opere risultano di una bellezza lontana, fredda, impersonale, perfetta ma quasi senza vita. Canova ottiene grande successo nel suo tempo, è compreso ed accettato da tutti, è conteso dalle maggiori corti d’Europa. La sua produzione è vastissima: statue, gruppi, monumenti funebri, ritratti, monumenti equestri.

Canova ha influenzato fortemente tutta la scultura dei primi decenni dell’Ottocento; essa risulta quindi in genere di tipo neoclassico, senza evidenziare però alcun interprete di rilievo. Con il diffondersi del Romanticismo, che rivaluta il sentimento e lascia largo spazio alla riflessione e alla interpretazione personale, anche i soggetti cambiano e si registra una forte tendenza alla rappresentazione della natura, della vita quotidiana, del mondo personale dell’artista. Nella seconda metà dell’Ottocento nasce anche una nuova tendenza definita Verismo, i cui soggetti sono tratti dal mondo reale, con una preferenza per gli ambienti umili e poveri, con personaggi raffigurati nella semplicità della vita quotidiana. Sul finire dell’Ottocento, sotto la spinta delle nuove tendenze in pittura, affermatesi ufficialmente in Francia nel 1874 con l’Impressionismo, anche la scultura si modifica profondamente. Medardo Rosso (1858-1928) ne è l’interprete più efficace e originale, autore di opere in cui i contorni, anche attraverso leggere deformazioni, si dissolvono nella materia stessa, scelta proprio in modo da consentire all’artista di ottenere superfici sfuggenti, plasmate quasi «senza volume». Medardo Rosso infatti usa spesso lavorare la cera o il gesso levigati e caratterizzati da un’apparente fluidità, quasi fossero appena colati.

Pittura

Seguendo le indicazioni del Neoclassicismo, gli artisti della fine del Settecento e del primo Ottocento tendono a dipingere ispirandosi a modelli antichi, per realizzare innanzitutto l’assoluta perfezione formale, la bellezza ideale. I soggetti preferiti sono gli avvenimenti storici o anche leggendari delle civiltà greca e romana. La pittura del Neoclassicismo si sviluppa soprattutto a Parigi, attraverso l’opera di Jacques-Louis David (1748-1825) che segna una svolta decisiva per la pittura europea del tempo. David guarda ai modelli antichi, greci e romani, non soltanto dal punto di vista formale, ma soprattutto come esempio di virtù morale, di grande dignità umana, valido per tutti gli uomini. Caricando di forte significato ideologico ogni sua opera, David assegna all’arte il compito di messaggio di una fede politica: l’arte neoclassica diventa così l’espressione artistica della borghesia in lotta. David diviene il caposcuola della pittura neoclassica e il pittore ufficiale nel periodo napoleonico, influenzando fortemente gli artisti del tempo e determinando una vera e propria «moda». Il Neoclassicismo, in Italia non trova esponenti di grande rilievo per quanto riguarda la pittura, come è invece avvenuto per la scultura, con Canova.

Nello stesso momento in cui il Neoclassicismo segna la sua maggiore affermazione, sono già vivi i nuovi fermenti romantici, che gli si contrappongono totalmente. Il Romanticismo esalta soprattutto l’individualismo, le capacità creative del singolo, superando ogni imposizione, ogni regola precostituita, qualsiasi imitazione. Gli artisti del Romanticismo rappresentano soggetti che sono nella realtà, come paesaggi, scene d’ambiente o anche temi storici ispirati al Medioevo, periodo ritenuto libero da legami classici e caratterizzato da creazioni spontanee e originali. I pittori si sentono meno legati alle regole accademiche e tendono soprattutto ad esprimere i sentimenti dell’animo umano, comunicando commozione nei confronti del soggetto rappresentato. Fra i pittori romantici, in Francia, assume particolarmente importanza Eugéne Delacroix (1798-1863). In Italia, uno dei maggiori esponenti della cultura romantica è il lombardo Francesco Hayez (1791-1882), che affronta temi storici e di significato patriottico e soggetti che esaltano i sentimenti. Da questo atteggiamento, anche in pittura, come già era avvenuto per la scultura, nasce la tendenza verista, che si diffonde con rapidità in Italia. I veristi non attribuiscono tanta importanza ai soggetti da rappresentare, quanto al modo in cui essi vengono rappresentati; si comincia a studiare come rendere la luminosità ed il colore in un paesaggio, in un interno, per riuscire ad essere, il più possibile, aderenti alla percezione che la realtà suscita. Questo tipo di indagine viene condotta da gruppi di artisti che purtroppo rimangono isolati dalle grandi correnti culturali europee e quindi anche i tentativi più geniali e innovatori, come quelli dei macchiaioli toscani, dei veristi napoletani (Scuola di Posillipo) o dei divisionisti lombardi, sono destinati ad esaurirsi in breve tempo e a non avere grande diffusione.

La lunga lotta per l’indipendenza e per l’unità non favorisce in Italia un rinnovamento radicale in campo artistico, ed anche i movimenti regionali, rimangono isolati. Proprio per questo, alcuni artisti finiscono con l’abbandonare la provincia per andare a Parigi dove, sul finire dell’Ottocento, si sviluppa uno straordinario movimento innovativo che modificherà profondamente il modo di dipingere: l’Impressionismo.

Impressionismo

Il movimento nasce a Parigi e si presenta per la prima volta al pubblico con una mostra organizzata nel 1874 presso lo studio del fotografo Nadar. Le opere degli Impressionisti sono infatti rifiutate nei saloni ufficiali delle mostre, perché ritenute spregevoli a causa dei soggetti rappresentati e del modo di dipingerli. La società di quel tempo, infatti considera «artistiche» soltanto le immagini con soggetti e figure composti artificiosamente nello studio del pittore o che ripetono modelli prestabiliti. Non possono quindi essere ritenute accettabili immagini tratte da un qualunque aspetto della realtà (un giardino pubblico, un’osteria di campagna, un porticciolo lungo il fiume, ecc.) nelle quali figure e oggetti sono rappresentati così come appaiono, senza ricorrere a luci e pose studiate. Il termine «impressionisti» si attribuisce ad un critico d’arte del tempo, Louis Leroy, che definisce con ironia questi artisti, basandosi sul titolo di un dipinto di Monet, Impression, soleil levant (Impressione, sole nascente). Gli artisti però non raccolgono questa provocazione, anzi adottano la definizione come distintiva del gruppo. Essi esprimono:

– l’avversione per le Accademie, dove si copiano i modelli con lo scopo di acquisire soprattutto un’abilità tecnica;

– il disinteresse per il «bel oggetto»: qualunque aspetto della realtà, anche apparentemente banale, può ispirare l’artista e divenire «opera d’arte»;

– la preferenza per il paesaggio, rappresentato direttamente con i colori, lavorando en plein air, per cogliere con immediatezza il variare delle luci e delle ombre nelle diverse ore del giorno.

I dipinti degli Impressionisti sono perciò realizzati con pennellate rapide, senza disegno preliminare e senza troppi ritocchi e sfumature. Si abolisce completamente l’uso del nero per realizzare che le ombre, proprio per sottolineare che l’ombra, essendo determinata dalla luce, non è mai assenza di colore.

Alla prima mostra del 1874 ne seguono altre, fino al 1886, sempre accolte con critiche fortemente negative; eppure oggi si riconosce all’Impressionismo il merito di avere ufficialmente aperto la via alle avanguardie dell’arte moderna, offrendo agli artisti la sua grande conquista: la completa libertà di esprimersi perseguendo la ricerca di un linguaggio personale, che non deve essere influenzato né dai desideri di un committente, né da convenzioni e regole imposte dalla società. Già all’interno del movimento stesso, ogni artista conduce una ricerca autonoma, legata ad interessi personali diversi; per tutti però, dipingere rappresenta un vero e proprio metodi di indagine della realtà. Cézanne, ad esempio, manifesta inizialmente la volontà di fissare sulla tela le sensazioni visive e lavora sempre dal vero, costruendo l’immagine con pennellate di colore che determinano ombre, luce, spazio. Ma le pennellate via via tendono a formare una vera e propria «tessitura», che diviene la struttura stessa dell’immagine e che fonde figura e sfondo tra di loro. Lo spazio del dipinto non suggerisce più la profondità, tutti gli elementi sbalzano in primo piano e, attraverso semplificazioni sempre maggiori, vengono rappresentati quasi come fossero pure forme geometriche. Basta osservare il dipinto della Montagna di Sainte Victore e confrontarlo con un qualunque dipinto di un altro pittore impressionista, di Monet o di Pisarro ad esempio, per rendersi conto di come Cézanne spinga la sua interpretazione visiva della realtà, fin quasi ai limiti dell’astrazione.

Divisionismo o Puntinismo

Divisionismo in Italia, e Puntinismo in Francia: sono due movimenti affini che operano tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del nostro secolo. Le loro denominazioni derivano dal particolare modo di stendere i colori che vengono accostati con piccolo tocchi di pennello senza essere mescolati sulla tavolozza. I divisionisti o puntinisti (i francesi Seurat e Signac, e gli italiani Pellizza da Volpedo, Segantini, Previati…) proseguono le ricerche degli impressionisti sugli effetti di luce-colore, ma con un procedimento esecutivo nuovo. Nel ritrarre paesaggi, scene in ambienti interni o esterni essi cercano di applicare recenti teorie sulla luce e sui fenomeni ottici dei colori. In pratica, i divisionisti nella loro pittura non applicano la cosiddetta «sintesi sottrattiva», cioè la mescolanza dei colori sulla tavolozza, ma accostando i colori puri secondo la legge dei complementari, cercano di ottenere gli effetti di limpidezza e luminosità della «sintesi additiva», cioè della mescolanza che, come per la luce, si effettua nell’occhio dello spettatore. I piccoli tocchi di colore, infatti, guardati da una certa distanza si amalgamano nell’occhio dell’osservatore che avrà così sensazioni cromatiche luminose e vivaci. Il procedimento tecnico-scientifico adottato, pur comportando un’esecuzione accurata, minuziosa, non impedisce di conseguire risultati gradevoli e originali.

Simbolismo

Il movimento simbolista, il cui principale esponente è Odilon Redon, si sviluppa in Francia parallelamente al Divisionismo (1885). Un dipinto, per i Simbolisti, non ha mai lo scopo di trasmettere solo le impressioni visive; in ogni immagine che l’artista crea, egli non comunica semplicemente ciò che ha visto, ma rivela anche inconsapevolmente il proprio mondo interiore. Volutamente, allora, ispirandosi ai sogni, i Simbolisti propongono immagini che non vogliono rappresentare la realtà oggettiva, bensì riflettere la fantasia e l’immaginazione. I dipinti dei Simbolisti sono caratterizzati dall’associazione apparentemente illogica di elementi reali ed immaginari, suggeriti dalla fantasia e dal ricordo, e che acquistano così anche significati simbolici. A questo modo di concepire l’immagine si collegherà in seguito la ricerca del Surrealismo.

Liberty

Liberty in Italia, Art Nouveau in Francia, Modern Style in Inghilterra, Jugendstil in Germania: molti nomi per definire uno stesso movimento artistico, diffusosi in tutta Europa dal 1880 all’inizio della prima guerra mondiale. Un movimento che si è espresso attraverso uno stile facilmente riconoscibile: esuberante fantasia decorativa; forme definite da una linea animata, sinuosa, a serpentina; ricerca di raffinatezza, eleganza nell’insieme e nei particolari. Perché questo movimento? Il timore che l’era industriale, avviata ormai verso un progresso inarrestabile, avrebbe provocato con i suoi prodotti una decadenza del gusto, diventa stimolo a trovare un’arte nuova, moderna, bella; un’arte che riguardi tutte le manifestazioni della vita: dalla pittura, scultura e architettura all’arredamento, alla moda, agli oggetti, a libri, manifesti… Per conseguire tale scopo si stabilisce uno stretto rapporto tra artista e industria per migliorare la qualità tecnica ed estetica dei prodotti che, pur nell’eleganza delle forme, devono mantenere la funzionalità e la praticità connesse allo stile di vita dell’uomo moderno.

Le forme sono tante, la maggior parte destinata a creare ed abbellire la casa. Questa è vista come un insieme unitario di architettura e decorazione interna ed esterna. In pratica ogni piccolo particolare è studiato, come forma, in stretto rapporto con l’architettura: dalle incorniciature delle finestre alle ringhiere, dalle maniglie alle vetrate, dai mobili ai lampadari, tendaggi, oggetti… Tutto è progettato e realizzato da artisti o da abili artigiani sotto la direzione di disegnatori e architetti. Un lavoro, quindi, di gruppo composto di esperti. Viene così rivalutato il lavoro artigianale, compromesso dalla nascente produzione industriale in serie. Sono utilizzati materiali dalle possibilità espressive del tutto inedite: ferro, ghisa, vetro, cemento; questo serve anche come materia plastica nella decorazione scultorea.

Il Liberty nasce quasi contemporaneamente alla grafica pubblicitaria, ed è proprio nel campo della grafica che si esprime in modo originale. Secondo il nuovo gusto si illustrano libri e riviste; si decorano libretti e spartiti di opere musicali; si abbelliscono di fregi le cartoline; soprattutto si crea il manifesto per reclamizzare riviste, volumi, romanzi a dispense. Il manifesto si afferma presto come forma d’arte vera e propria, anche perché le case editrici si accaparrano validi artisti, pittori, scultori e litografi, alcuni dei quali si dedicano quasi esclusivamente a questo nuovo genere d’espressione figurativa. I nomi di artisti pubblicitari sono tanti; ne citiamo soltanto uno, Toulouse – Lautrec. A lui si fa risalire la nascita del manifesto come opera d’arte; le sue creazioni sono caratterizzate da originalità compositiva o taglio compositivo e da una linea incisiva. Il Liberty con la sua inventiva decorativa si adatta felicemente alle composizioni pubblicitarie: figure di adolescenti, donne, uomini che si combinano come un tutt’uno con la decorazione floreale; e con l’illustrazione si armonizzano nuovi caratteri tipografici. La figura femminile, in particolare, ha un posto di rilievo nell’evoluzione della forme del manifesto: è preziosa e raffinata come divinità; pallida e fatale come attrice cinematografica oppure seminuda o vestitissima come simbolo di bellezza.

© 2018 Lorena Laurenti. All rights reserved. È possibile fare una citazione dell’articolo includendo il link originale alla pagina e dandone comunicazione all’indirizzo info@disegnamo.it

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